RITIRO SOCIALE NEGLI ADOLESCENTI E GIOVANI ADULTI

da | 29 Giugno 2022 | Ansia, Depressione, Infanzia e Adolescenza, Panico

“La gioia contagia, il dolore isola.”
(Alessandro Morandotti)

Una problematica che sta prendendo piede in questi ultimi anni e che si sta diffondendo sempre di più tra i giovani è l’isolamento sociale in particolare tra giovani e adolescenti.
Questo fenomeno ha delle ricadute anche in ambito scolastico, in quanto alcuni alunni iniziano a sviluppare la difficoltà a frequentare regolarmente la scuola, prediligendo lo stare in casa, fin dalle scuole primarie di secondo grado e raggiunge la massima espansione nella scuola secondaria.
Quando si parla di isolamento sociale non stiamo parlando di semplice timidezza che porta i ragazzi a prediligere un gruppo ristretto di amici o di interlocutori, ma un fenomeno molto complesso, multifattoriale che può avere ricadute importanti sulla salute psicofisica degli adolescenti.
Questa tendenza si stava diffondendo prima della pandemia, ma sicuramente ha vissuto un incremento importante nel post-pandemia.

Con l’avvento della pandemia le scuole sono state tra le prime a chiudere, in maniera repentina, e tra le ultime a ripartire, obbligando gli adolescenti alla didattica a distanza.
Quando sono state aperte non hanno avuto una regolarità nella frequenza, hanno riaperto a “singhiozzi” e naturalmente chiedendo ai giovani un distacco sociale dettato dall’emergenza, ma che sicuramente ha ed avrà delle ripercussioni a lungo termine.
In questi due anni di emergenza sanitaria abbiamo chiesto ai giovani di restare in casa, di evitare la vicinanza sociale in un’epoca l’adolescenza, dove il confronto con i coetanei e con la vita relazione/affettiva è di primaria importanza.
Senza entrare nella retorica su quali erano le azioni migliori da intraprendere per i giovani, che sono da tutelare sotto tutti gli aspetti bio-psico-sociali e sono il futuro, è importante ora interrogarsi e ragionare su quali saranno gli strascichi e gli effetti di questi due anni particolarmente difficili per tutti ed in particolar modo per i ragazzi.
Il disagio giovanile è aumentato in maniera esponenziale disturbi d’ansia, disturbi del comportamento alimentare e ritiro sociale hanno subito un incremento esponenziale sintomo di un malessere giovanile che vede muovere i primi passi in un contesto sociale incerto ed un futuro percepito come inospitale, angosciante e senza “speranza”.
Nell’articolo che segue vorrei concentrarmi sul ritiro sociale, fenomeno presente da anni in Italia, ma che vede un incremento nel post pandemia e che interessa sempre di più una fascia d’età che varia dalla pre-adolescenza al giovane adulto.

COSA SI INTENDE PER RITIRO SOCIALE?

“L’abitudine al silenzio spinge all’isolamento della mente e del cuore.”
(Gianfranco Iovino)

Quando parlo di ritiro sociale non intendo la sporadica voglia di stare da soli, che fa parte dell’essere umano ed è una pratica particolarmente diffusa dagli adolescenti. Chi in adolescenza non si è chiuso nella propria camera o cercato privacy dalla famiglia per ascoltare musica, parlare al telefono con amici o semplicemente fantasticare sul proprio futuro?
Anzi, il differenziarsi dalla famiglia d’origine, ricercare dei momenti in cui provare a fare “da soli” sono delle fasi molto importanti che aiuta l’adolescente a ragionare sul suo mondo interiore, immaginare la propria “adultità” e cercare di comprendere che adulto vuole diventare.
Quando parlo di ritiro sociale in adolescenza parlo di un processo lento e volontario che vede i protagonisti abbandonare le relazioni amicali in presenza, la scuola e tutte quelle attività extrascolastiche a contatto diretto con la società e con i coetanei, prediligendo lo stare in casa per periodi prolungati di tempo e rapportarsi con il mondo esterno attraverso internet, fino ad arrivare nei casi più gravi ad un vero e proprio ritiro sociale dove qualsiasi contatto con il mondo esterno viene evitato.
Questo processo graduale di ritiro viene effettuato più o meno coscientemente dall’adolescente in maniera volontaria e non c’è una causa comune facilmente riconoscibile. Ci possono essere differenti fattori che possono influenzare o determinare questa chiusura, portando l’adolescente a chiudersi prima in casa e successivamente nella propria camera rinunciando al rapporto in presenza con i coetanei, gli insegnanti, gli allenatori, i familiari che fino a poco tempo prima facevano parte della loro quotidianità. Solitamente trascorrono il loro tempo tenendosi in contatto con il mondo “esterno” attraverso chat, forum o guardando serie tv o film, talvolta possono anche invertire il ritmo sonno/veglia dedicandosi a queste attività di notte e dormendo giorno.
Più in generale si può affermare che questi ragazzi si allontanano da situazioni che vivono come difficili da gestire, paurose o di potenziale sofferenza di vario genere che incontrano nella società e nella quotidianità, trovando “rifugio” e iniziale sollievo nella solitudine e nell’isolamento.

IL FENOMENO HIKIKOMORI

“C’è differenza tra solitudine ed isolamento.”
(Maggie Smith)

Sempre più spesso si sente parlare della sindrome di Hikikomori per indicare ragazzi che tendono ad isolarsi, ma facciamo un po’ di chiarezza.
La sindrome di hikikomori è stata per la prima volta studiata in Giappone a partire dagli anni ‘80 per descrivere il confinamento volontario a casa da parte di adolescenti e giovani adulti. Il termine significa “stare in disparte, isolarsi” ed è utilizzato in Giappone per designare una sindrome psicologica in cui la persona che ne soffre sceglie di isolarsi dalla società. Hikikomori deriva dai verbi “hiku” (tirare indietro) e “komoru” (ritirarsi).
Una descrizione di questa sindrome da parte del Ministero della Salute giapponese (MHLW) precisa: “L’Hikikomori è un fenomeno psico-socilologico, una delle sue caratteristiche è il ritiro dalle attività sociali ed il rimanere a casa quasi ogni giorno per più di sei mesi”. Il ritiro sociale è totale, ciò significa che la persona si isola completamente da tutto e da tutti, con un rifiuto di frequentare scuola o attività lavorative, per un periodo che va da un minimo di sei mesi e può durare anche anni e cronicizzarsi.
Ovviamente, si può affermare che un individuo è affetto da questo disturbo dopo aver appurato che non soffra di altre patologie psicologiche che possano spiegarne i sintomi (es. schizofrenia o ritardo mentale).
E’ importante soffermarsi che è un disagio psico-sociologico in quanto potrebbe diventare un terreno scivoloso parlare di Hikikomori anche in società differenti da quella giapponese.
Anche se tra il nostro paese ed il Giappone ci sono alcuni aspetti culturali simili, il fenomeno del ritiro sociale volontario in Italia presenta delle sfumature differenti. Se in Giappone il fenomeno è descritto dall’adolescenza fino ai giovani adulti sotto i trent’anni, si presenta però maggiormente tra quest’ultimi, cioè tra i 20 ed i 29 anni, all’inizio dell’università o della carriera lavorativa. In Italia, invece, sembrerebbe che nella maggioranza dei casi il momento in cui inizia l’isolamento è quello delle scuole medie e superiori.
Più in generale però si può parlare del ritiro sociale che vede protagonisti i giovani come un disagio adattivo sociale che riguarda tutti i paesi economicamente sviluppati del mondo.

COSA INDUCE A RITIRARSI NELLA PROPRIA STANZA?

“Le mura che ci costruiamo attorno tengono fuori la tristezza ma tengono fuori anche la gioia.”
(Jim Rohn)

L’isolamento sociale, come anticipato precedentemente è un processo dove l’adolescente vive il mondo esterno, la società, come potenzialmente minaccioso o pericoloso, per “difendersi” e non provare il disagio derivante tende ad isolarsi. Questa solitudine inizialmente lo fa stare bene, in quanto non deve affrontare situazioni potenzialmente ansiogene o angoscianti e diventa un rifugio, che però a lungo andare diventa altresì la sua “prigione”. La paura lo porta ad evitare quei luoghi e quelle situazioni che potrebbero creargli ansia, questo comportamento porta ad un peggioramento della sintomatologia, in quanto meno mi percepisco competente ad affrontare le difficoltà più queste mi creeranno ansia, questo crea un circolo vizioso che porta la persona all’isolamento.
Pertanto può essere sintomo di disagio derivante ma molti fattori, diventa difficile individuarne le cause univoche che determinano l’isolamento sociale in adolescenza e pre-adolescenza.
Fatta questa premessa si possono individuare dei fattori di rischio, che se non affrontati adeguatamente potrebbero portare ad un graduale ritiro sociale.
Tra questi fattori possiamo individuarne aspetti:
– caratteriali: i ragazzi che tendono all’isolamento sociale sono ragazzi tendenzialmente intelligenti, ma anche sensibili e che subiscono il confronto con l’altro e con la società. Tendono a far fatica ad instaurare relazioni sociali durature e soddisfacenti e ad affrontare le difficoltà che la vita propone. Molti ragazzi in età scolare riportano che preferiscono fare le lezioni in didattica a distanza perché più tollerabile a livello emotivo e faticano a stare nel contesto classe.
– familiari: gli adolescenti che tendono ad isolarsi solitamente crescono in famiglie dove si possono riscontrare dei legami molto forti, quasi “simbiotico”, con un genitore. Sovente si trovano genitori “iper-protettivi” che tendono a proteggere il proprio figlio dalle frustrazioni della vita, non permettendo a questo di evolversi. Ad esempio possono intervenire in difesa dei propri figli tra screzi tra coetanei. Con le migliori intenzioni (difendere la propria prole) comunicano ai figli dei messaggi sottostanti che possono essere disconfermanti nei confronti del figlio stesso “lo faccio perché non ti ritengo all’altezza di affrontare questa situazione”.
– bassa autostima: persone che sviluppano una bassa autostima e scarsa autoefficacia sono più predisposte a ritirarsi dal confronto sociale per paura di essere giudicati dagli altri in maniera negativa.
– sociali: questi ragazzi, spesso sviluppano una visione negativa della società e soffrono le pressioni sociali, dalle quali cercano di sfuggire in quanto non si percepiscono all’altezza della situazione e delle aspettative famigliari e sociali.
Tutto questo porta a una crescente difficoltà e demotivazione del soggetto nel confrontarsi con la vita sociale, fino a un vero e proprio rifiuto della stessa.

MEGLIO A CASA CHE IN GIRO!

“Non fa paura l’isolamento causato da una malattia ma quello causato dal deserto delle emozioni.”
(Eugenio Borgna)

Il ritiro sociale volontario è un processo graduale che spesso, proprio per questa gradualità, non allerta subito i familiari ed i campanelli d’allarme talvolta tardano ad arrivare.
Questo lo sanno bene gli insegnanti quando devono cercare di contrastare il fenomeno della dispersione scolastica e chiedono colloquio con la famiglia, la quale spesso afferma che hanno provato a motivare loro figlio, ma non ne vuole proprio sapere di frequentare la scuola e piuttosto di saperlo in giro preferiscono che stia a casa, almeno sanno dov’è e che non si mette nei guai! Infatti spesso il nucleo familiare tollera l’autoreclusione del ragazzo, agevolandolo implicitamente o esplicitamente nel suo rintanarsi in casa. Si cela dietro la protezione da una società pericolosa, perché incapace di sostenere il peso della vergogna. Il ritiro nella propria casa, che segue l’abbandono scolastico, permette di nascondersi da sguardi sentiti come giudicanti. Vergogna e imbarazzo diventano la cosa più temuta.
Inizialmente i ragazzi affetti da ritiro sociale provano dolore alla pancia o alla testa che non permette loro di uscire con i coetanei né di fare qualsiasi altra attività all’esterno delle mura casalinghe. Per i genitori è molto difficile comprendere la situazione e capire cosa fare per curare il disagio del figlio.

INTERNET CAUSA O CONSEGUENZA DEL RITIRO SOCIALE?

“Sono sempre stato un uomo solitario. Adesso sono un uomo solo. Non pensavo che col tempo sarei arrivato a sentire la differenza”.
(Giorgio Faletti)

Spesso la dipendenza di internet, o l’uso eccessivo di questo mezzo viene considerata come una delle cause del ritiro sociale, mentre è da considerarsi una possibile conseguenza di questo fenomeno.
Infatti, chi si ritira socialmente utilizza internet come unica “finestra sul mondo” e non può esserne la causa perché non tutte le persone dipendenti da internet sperimentano o presentano anche il ritiro sociale.
La rete diventa quindi una “tentata soluzione” per sfuggire alle difficoltà familiari, sociali, amicali e di disagio e la mancanza di controllo del mezzo, a lungo andare influisce sul mantenimento del problema, in quanto l’adolescente fatica anche solo ad immaginarsi nella vita reale senza lo schermo protettivo della rete. Infatti, è la necessità ad autorecludersi che porta poi il soggetto a cercare nuove forme di comunicazione alternative a quelle vis-àvis ed i videogiochi distraggono dal senso di angoscia e di malessere che l’adolescente prova. Il ritiro nella rete segnala il disagio e un primo tentativo di risolverlo, di lenire una sofferenza.

COSA FARE?

“L’isolamento è uno stato negativo: essere isolato significa desiderare l’altro; essere isolato significa sentirsi avvolto dall’oscurità, dal dolore, dalla disperazione. L’isolamento ti fa sentire abbandonato, nell’isolamento senti che nessuno ha bisogno di te, e questo fa male”.
(Osho)

Come genitori è importante da un lato normalizzare ed esprimere comprensione per il senso di disagio che il proprio figlio può provare quando entra in contatto con i pari, in particolare quando si deve esporre davanti al gruppo classe, in prestazioni sportive, musicali, culturali, ecc… E’ fondamentale non sottovalutare il disagio che provano, ma esprimere comprensione senza però assecondarlo, ma facendogli capire che è normale provare un po’ di timore quando ci si confronta con gli altri, ma questo se evitato può trasformarsi in una paura che può sfociare in panico o angoscia, oppure può essere affrontato e può essere quella spinta che aiuta a dare il massimo.
Dall’altro lato è importante spronarli a sperimentarsi nonostante il timore partendo da piccolissime difficoltà, ricominciando a rientrare in contatto con gli altri in situazioni tolleranti, come ad esempio riprendere i mezzi pubblici per avvicinarsi alla scuola, senza obbligarli ad entrare a scuola, per permettere all’adolescente di cominciare a sentirsi competente.
Quando invece la situazione è più complessa e i genitori si accorgono che nonostante i loro tentativi non riescono a “sbloccare” la situazione è importante rivolgersi ad un professionista competente, che possa aiutare l’adolescente e la sua famiglia a trovare quelle caratteristiche e quegli strumenti che lo facciano percepire competente all’interno della società.

Marzia Targhettini

Marzia Targhettini

Sono Marzia Targhettini, psicologa e psicoterapeuta Breve Strategica. Ho scelto di fare la psicologa perché mi ha sempre interessato ascoltare le storie di vita delle persone che mi circondano. Dopo la laurea ho compreso che il lavoro che ho scelto è ancora più affascinante di quel che sembra e che attraverso il dialogo aiuta i pazienti a risolvere i problemi. Per formarmi al meglio, dopo un Master sui Disturbi Specifici di Apprendimento ho frequentato e concluso la scuola di Specializzazione di Psicoterapia Breve Strategica di Giorgio Nardone. Quello che mi appassiona di questo lavoro è vedere i “segni” positivi che la terapia ha sui pazienti, persone che chiedono il mio aiuto in momenti di difficoltà e che attraverso il percorso ritrovano il benessere psico-fisico.